testimonianze

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INTERVISTA A S.E. MONS. DANTE BERNINI
Il documento che segue è stato ricavato dall’intervista gentilmente concessa da Monsignor Dante Bernini, Vescovo emertio della Diocesi di Albano e tra i più impegnati promotori del recupero della memoria del bombardamento e delle vittime civili di Propaganda Fide. La trascrizione è fedele e presenta solo piccole correzioni di roma imposte dal passaggio dal parlato allo scritto.
Le interviste filmate del prof. Giorgio Badiali e di Mons. Dante Bernini sono state realizzate da Angelo Musciagna con la consulenza storica di Ugo Mancini, che ha curato anche la loro trascrizione.
Viterbo 9 ottobre 2010
DOMANDA: Lei ha vissuto l’esperienza della guerra
a Viterbo, città di bombardamenti con molte vittime.
Quanto questo ha contribuito a renderla così
sensibile nel ricordare i bombardamenti di Propaganda
Fide?
MONS. BERNINI: Viterbo è stata una città che
è stata distrutta per il 60%. Nel gennaio 1944 gli
americani pensavano di arrivare a Roma in tempi
brevissimi, forse una,due settimane. Invece successe
che dovettero penare fino a giugno e in quel periodo
anche la città di Viterbo fu molto martoriata.
Furono distrutte tante vite prima di tutto e poi
anche dei monumenti, delle case, delle vie. Per la
ricostruzione c’è voluto molto tempo. Quindi è
chiaro sono stato molto segnato da questo tipo di
vita vissuta nel periodo gennaio - giugno 1944.
DOMANDA: Dei bombardamenti di Albano lei ha
avuto dei racconti, ha avuto tante testimonianze, che
cosa l’ha colpita particolarmente?
MONS. BERNINI: Credo di dover subito dire
che questo bombardamento, che fece tante vittime,
centinaia di vittime, parecchie centinaia di vittime,
avvenne in un territorio extraterritoriale rispetto
al territorio italiano. Pio Decimo Secondo,
aprendo la Villa Pontificia agli abitanti dei Colli albani,
rese possibile a circa dodici mila persone di
rifugiarsi nella Villa Pontificia, sperando appunto
che l’extraterritorialità fosse un motivo di sicurezza
per loro. Il che poi non è stato, perché di fatto
fu bombardata. […] È chiaro che io sono stato poi
destinatario di ricordi, di memorie, di partecipazione
alla sofferenza di questa gente. Poi, ecco, mi
interessava subito dare un aspetto a questo mio modo
di intervenire. Come mi sono espresso anche in
altri momenti per evidenziare le vittime civili della
guerra, avere degli elenchi dei soldati morti in
guerra è relativamente facile. Avere invece degli
elenchi di morti civili è estremamente difficile, perché
la memoria è labile e poi con l’andare degli anni
i testimoni vengono meno. Allora bisogna andare
a rovistare in uffici vari, a cominciare dai verbali
dei Carabinieri, dei vari settori della vita pubblica
che era interessata all’attenzione di queste
morti improvvise, così numerose; perché tra l’altro
era anche la numerosità dei morti che rendeva il
fatto molto più interessante dal punto di vista umano.
Io ebbi un validissimo collaboratore, il Dottor
Leo Evangelista, che si fece promotore di una ricerca
molto precisa, con la quale si poterono raccogliere
circa due mila nomi di vittime civili della
guerra. In base a questo prendemmo anche iniziative
insieme, anche con i Comuni della zona Colli,
per far conoscere quella che era stata la realtà
della guerra per i cittadini. Anziani, giovani, ma
soprattutto adolescenti, bambini, famiglie intere
distrutte, come si può facilmente ricavare dai testi
che curammo. Nel 1984, Exodus. Dalla guerra verso
la pace, in cui raccogliemmo anche le testimonianze
dei Sindaci. I Sindaci stessi fecero un documento
che presentarono al Presidente della Repubblica,
poi ad altri centri politici nazionali, per renderli
attenti al tipo di situazione che si crea con le
guerre. Oggi sono più i civili che muoiono nelle
guerre che non i combattenti.
DOMANDA: Lei ha conosciuto Emilio Bonomelli?
MONS. BERNINI: L’ho conosciuto poco, anche
se ho letto i suoi libri, particolarmente Papi in campagna.
Però ho sentito anche le memorie fatte dalla
gente umile, semplice di questa capacità di accoglienza,
di condivisione, di aiuto a tutte le persone
che bussavano alla Villa Pontificia e poi anche
proprio a palazzo Pontificio. La storia racconta,
e le testimonianze sono numerose e chiarissime,
che molti bambini sono nati perfino nel Palazzo
Pontificio e non pochi bambini furono chiamati
poi con il nome di Pio addirittura, oppure di Eugenio
in dipendenza di un’attenzione di gratitudine
e di ringraziamento al Santo Padre. Quindi ho
conosciuto Bonomelli. So benissimo quanto ha
fatto. Si è dedicato sempre però su ispirazione di
Pio Decimo Secondo per aiutare questa gente.
DOMANDA: Ha anche tentato di sottolineare a
quella gente che neanche quel territorio era un territorio
sicuro. Ne ha parlato di questo con lui?
MONS. BERNINI: No, con lui personalmente
no, perché io sono arrivato dopo che lui aveva lasciato
la sua responsabilità. Però ho sentito dire
sempre che era un uomo di grandi capacità umane
direi. Ho detto, mi pare, di accoglienza e di condivisione
che sono due atteggiamenti che dovrebbero
essere coltivati più di quanto non lo facciamo
abitualmente. Accoglienza per la gente che soffre e
condivisione di questa sofferenza. Perché un conto
è essere efficienti, se vogliamo anche efficaci,
molto meglio, ma un conto è anche condividere e
far sentire questa partecipazione umana e ai credenti
eventualmente cristiana, in modo da rendere
più partecipata questa presenza, questo servizio,
e la gente avverte che oltre la forma ci sono anche
dei contenuti di una sensibilità, […] ancora ripeto
la parola partecipazione molto viva.
DOMANDA: Ha ricevuto da lui qualche ricordo,
qualche testimonianza di quei bombardamenti?
MONS. BERNINI: Durante il periodo in cui tentavamo
con queste pubblicazioni, che la città, la
diocesi di Albano aveva intenzione di mettere a
disposizione del pubblico, si parlava anche con i
Sacerdoti che avevano vissuto in questo periodo tristissimo
della città di Albano. […] Dai Sacerdoti
raccoglievamo più che altro delle sensazioni, se
vogliamo, dei convincimenti, che poi erano cresciuti
dentro di loro per svolgere un mistero pastorale
[…]. La guerra aveva profondamente sconvolto
la vita delle famiglie e la vita di queste persone
che vivevano ormai qualcosa di assolutamente
diverso da quello che avevano progettato prima che
i bombardamenti li privassero dei loro cari.
DOMANDA: Riguardo le responsabilità del bombardamento,
da quello che lei ha raccolto come ricordi,
come testimonianze, c’è stata la tendenza a spiegarlo
in qualche modo? Lei prima ha parlato di extraterritorialità,
in fondo era un territorio neutrale
quello che fu bombardato.
MONS. BERNINI: Sì la gente entrò proprio con
questo tipo di convincimento, anche se come lei
mi pare poco fa ha ricordato, il dottor Bonomelli
metteva sull’avviso dicendo “guardate..., è vero siamo
in un territorio che dovrebbe essere salvaguardato
da Leggi internazionali riconosciute a tutti i
livelli, però la guerra è la guerra”. Ecco io sotto questo
profilo credo che esigere dai belligeranti quelle
che sono le norme che sono state pensate, legiferate,
appunto, e sottoscritte a livello per esempio, non
so, Europeo, esigere da loro è un dovere, è un diritto
da parte dei cittadini, ma che poi la guerra
venga condotta con l’osservanza di queste norme
credo che, è amaro dirlo, ma non è poi troppo facile
ottenerlo. ”La guerra è la guerra”, questa frase
veniva detta in tante lingue […]. “La guerra è la
guerra”, è qualche cosa che veramente fa cadere non
soltanto le braccia, ma fa amareggiare gli animi in
modo quasi disperato, perché dire che “la guerra è
la guerra” significa che non esiste più nessuna norma,
anche quelle ripeto che sono riconosciute a livello
più ampio possibile. Quindi purtroppo lì è
avvenuto questo bombardamento. Alcune cose che
posso ricordare… Il Vaticano protestò. La risposta
forse non fu così precisa o almeno così documentata
come sarebbe stato necessario […]. Nella Villa
Pontificia non c’erano tedeschi. Erano soltanto
cittadini italiani. Erano cittadini che si erano raccolti,
perché speravano di poter essere difesi, tra l’altro,
anche da questo tipo di qualifica di extraterritorialità
di questo territorio.
DOMANDA: Socialisti, repubblicani, comunisti,
partigiani, lo ricorda anche Bonomelli, svolsero una
funzione di controllo, di sorveglianza per garantire
sicurezza nella Villa. Di questa presenza di persone
di diverso orientamento, di diversa cultura in quella
Villa, lei ha trovato traccia a tanti anni di distanza,
ha visto una memoria che è stata facilmente condivisa
perché c’erano tutti là dentro, oppure le diverse letture
di quel periodo e di quel bombardamento sono
sopravvissute?
MONS. BERNINI: A dire la verità, non ho sentito
di questa presenza, che non era messa in discussione
da nessuno dei responsabili di questa entrata
nella Villa Pontificia, di persone alle quali non
veniva poi chiesto nemmeno con la carta di identità,
perché venivano accolti tutti. Sotto questo
profilo potrei parlare di episodi che riguardano personalmente
un cristiano… Adesso parlo in termini
espliciti, non si domanda mai a una persona che
è in pericolo di vita come si chiama e perché chiede
ospitalità e perché chiede eventualmente di essere
salvaguardato dalla violenza la più brutale. C’è
un’immediatezza che viene dall’essere uomini,
donne che vivono la loro vita in un’interezza che
viene da una sensibilità coltivata per anni e poi c’è
anche per chi è credente… un’ispirazione evangelica.
Quindi non si pone sul tavolo questo tipo di
distinzione, tanto meno poi di separazione […]. La
gente entrava, certo doveva in qualche modo presentarsi,
declinare quelle che potevano essere i loro
dati anagrafici, perché, in fondo, si doveva salvaguardare
anche un vivere insieme, un vivere comune
da quelli che potevano essere episodi poco
simpatici per dirlo con un aggettivo molto lieve,
però nello stesso tempo non si domandava altro.
DOMANDA: Lo stesso Bonomelli sottolinea che fu
un buon rapporto, un rapporto di collaborazione positivo
e importante. Secondo lei quel buon rapporto,
che si stabilì in quell’occasione, in quella tragedia, ha
facilitato o no la condivisione del ricordo tra persone
di cultura diversa a distanza di tanti anni? Lei nel
1984 ha promosso un recupero del ricordo di quella
tragedia, ha trovato una memoria condivisa tra
persone di cultura diversa, di orientamento diverso o
ha trovato…
MONS. BERNINI: Assolutamente condivisa.
Noi abbiamo lavorato sempre con chiunque avesse
un’attenzione minima agli altri, con la “A”
maiuscola, senza fare distinzioni di sorta. Quando
abbiamo fatto delle iniziative non abbiamo mai
domandato quale fosse la sensibilità appunto
degli altri a proposito della politica, dei partiti
politici. Non l’abbiamo mai domandato.
DOMANDA: Una prova ulteriore è Montecassino,
dove il cinque febbraio del 1944 arrivarono tante
persone, tra cui anche gente di malaffare.
MONS. BERNINI: Questi sono rischi, sono
rischi che si corrono ogni volta che c’è un pronto
soccorso che genera un’emergenza rispetto alla
quale salvare una vita umana è come salvare l’umanità,
senza altre qualifiche, altre distinzioni, altre
sottolineature, una vita umana è una vita umana.
Adesso lei mi ha introdotto in questo sentiero, che
dovrebbe essere una strada praticabilissima, quando
si tratta ripeto della salvezza di una vita umana
si deve salvare comunque con tutti i mezzi possibili,
che questo poi sia possibile, nel senso proprio
di un’efficacia che conduca alla finalità che uno
intende raggiungere, può dipendere anche da
fattori che non si prevedono e che improvvisamente
conducono poi a direzioni diverse da quelle che
uno ha in testa e soprattutto ha nel cuore, nell’animo.
DOMANDA: Un’ultima domanda, data la sua
esperienza sulla guerra, in base alla sua esperienza
per il tentativo molto ben riuscito di recuperare il
ricordo dei bombardamenti di Propaganda Fide,
quale messaggio si sente di lanciare ai giovani, perché
qui c’è il senso di tutta un’esistenza, un’esistenza
che si è individuata in vari modi con una tragedia
vera e propria.
MONS. BERNINI: Guardi lei qui mi mette in un
campo nel quale ho dedicato non soltanto riflessioni,
pensieri, impegno, responsabilità. Io ho sempre
amato molto i giovani, ma non perché fossero
come io li ho pensati o li penso, ma perché siano i
testimoni di un mondo interiore fatto di grande
umanità prima di tutto a largo raggio, senza preclusioni
di sorta per gli altri, chiunque siano, quindi
un’educazione non soltanto…, una volta si diceva
planetaria, addirittura cosmica, questo è pensiero
radicale e fondamentale. Poi per la mia qualifica,
eventualmente per il mio impegno, per il
mio mandato di Vescovo, ho cercato sempre […]
di verificare, se mi è consentito, e di amplificare
anche questo tipo di prospettiva con un sale saporoso
di tipo evangelico. Allora io devo citare il Vangelo
“amate i vostri nemici, fate del bene a coloro
che vi odiano, pregate per coloro che hanno sentimenti
di inimicizia verso di voi. Perché in fondo
siete figli del Padre Celeste che fa nascere il suo sole
sui buoni e sui cattivi e fa scendere la pioggia sui
giusti e sugli ingiusti”. Se questo è il Vangelo ci sono
delle conseguenze che alcune volte non violano
la Legge, ma superano la Legge, perché violare la
Legge è sempre qualcosa che può mettere a rischio
una persona che ragiona con la testa, ma superare
la legge può dinamizzare una ragione che sente il
dovere di muoversi anche in forza del cuore, intendendolo
come centro di sentimenti degli affetti e
delle decisioni radicali della vita. […] Zaccaria
[Negroni] ha rischiato la vita quando era Sindaco,
per le decisioni che ha preso in favore dei marinesi.
Lui racconta su quel documento Marino sotto le
bombe che un giorno purtroppo è morto un bambino
sotto le bombe. Il papà lo portò in una stanza
per custodire la salma. Per motivi contingenti
dovette poi questa salma essere portata nella basilica
di Marino. Venne poi il secondo bombardamento
e una scheggia forò la piccola cassa dove era
stato accolto il bambino e raggiunse il bambino e
il papà mormorò “me l’hanno ucciso due volte”. È
inimmaginabile quello che capita durante la guerra.
Adesso io non ho parlato mai di quelle che sono
state le mie esperienze personali. Non ne parlo
molto volentieri. Non è possibile ammettere la
guerra, una guerra guerreggiata, così almeno io la
penso. I politici forse qualche volta pensano differentemente,
ma lei lo sa quanto è martoriata questa
teoria della guerra giusta, che ha radici antiche?
Tra l’altro San Agostino e tanti altri teologi di primissima
linea hanno trattato di questi argomenti,
né ha trattato anche Obama, adesso, nel suo discorso
ad Oslo. Credo che Obama abbia fatto bene
a dire che più che della guerra giusta, dobbiamo
parlare della pace giusta. D’altra parte questo
è nella linea anche dei non violenti, nei quali io
amo molto le idee, i pensieri, ma anche il modo di
agire nel mondo. Sono i grandi problemi di sempre.
Mi auguro che siano prima o poi risolti in modo
differente da come sono stati spesso risolti nel
passato. Io mi domando perché l’uomo abbia tanto
discusso di guerra e meno di pace, non dico…,
dico così meno di pace. Avrei dovuto dire “molto
meno di pace”, perché?