testimonianze

© Tutti i diritti sono riservati - Vietata la riproduzione anche parziale

SARA FOLIGNO
Mio padre era originario di Ancona, ma si era trasferito a
Roma, cercando l’aiuto dei parenti, dopo che la sua famiglia,
già molto ricca, aveva subito un grave tracollo. Dopo essersi
laureato in farmacia presso l’Università di Bologna, con la sua
parte di quello che si era salvato della grande azienda che era
appartenuta alla famiglia acquistò una farmacia a Roma, che è
poi la farmacia dei ferrovieri, quella che sta adesso sotto la stazione
Termini.
Ma il suo grande desiderio era di vivere in campagna, che lui
amava molto. E così quando, nell’ottobre del 1922, già sposato
con la mamma dalla quale aveva avuto tre bambini, giusto
dopo la nascita di mia sorella Annetta, lesse su un giornale che
era in vendita una farmacia ad Ariccia, decise di vendere a Roma
e di comprare ad Ariccia. Io sono nata ad Ariccia. Dopo alcuni
anni capitò che si vendeva questa farmacia di Albano da
Ragnetti e mio padre la comprò, intestandola a mia madre. Dopo
di che ci siamo trasferiti ad Albano: io avevo sei anni e facevo
la prima elementare.
Poi ricordo come un flash questa sera strana del 37-38, quando
papà tornò da Roma e mamma gli disse: “Che c’è? Che hai
fatto? Ti vedo tanto strano...” “Tu sai, rispose lui, che in Germania
stanno facendo delle cose terribili contro gli ebrei e pare
che ora anche Mussolini, il fascismo, voglia fare lo stesso
qui... “Una tragedia... Una tragedia in questo senso: noi non
abbiamo avuto, grazie a Dio, deportati, non abbiamo avuto uccisi
né nella mia famiglia né tra i nostri parenti; però la tragedia
è morale, perché le posso dire che ancora oggi che ho quasi
sessant’anni ne sento le conseguenze. Perché se non si è provato
non si ha idea che cosa può significare sentirsi braccati,
emarginati, messi in un angolo senza aver fatto niente.
Io facevo la quarta elementare e ad un certo punto mi hanno
messo fuori da scuola. Non mi hanno potuto più tenere a
scuola, la mia maestra piangeva, però non mi poteva tenere. E
nonostante il bene che ci vuole la gente semplice, questa sensazione
non dico di emarginazione, perché emarginati non siamo
più, ma questa sensazione latente, subdola di distacco sussiste
ancora, nonostante io abbia sposato un cattolico e sia io
stessa cattolica, perché papà ci ha lasciati liberi di scegliere la
nostra vita.
Fino al 1938 nessuno di noi pensava di essere diverso dagli altri,
ma a quel punto venne affermata questa diversità e questa
sensazione è rimasta. Non è che la società ci avesse emarginato,
perché abbiamo avuto tutti amici, tutti buoni, tutti affettuosissimi,
però quelle disposizioni mi facevano sentire diversa.