testimonianze

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ANNA TROIANO di Cecchina
“Uno dei soldati che ho salvato, dopo 40 anni, venne ad Albano per ringraziarmi”
Sono nata nel 1912 e all’epoca del bombardamento di
Propaganda Fide avevo 32 anni.
Vivevamo a Cecchina vecchia, dove gestivo un emporio,
con il forno, la bottega, la tabaccheria e l’osteria.
Quando è iniziata la guerra mio marito è stato richiamato
e l’hanno portato in Sicilia, sul monte Pellegrino,
era soldato semplice nell’artiglieria pesante. Io sono rimasta
sola, con tre figli: due maschi ed una femmina.
La vita era molto dura e lavoravo tanto… quando sono
arrivati i soldati della nostra fanteria, li ho dovuti
ospitare tutti, per farli mangiare.
Durante la guerra, dato che io avevo il forno, ero addetta
alla distribuzione del pane, con le tessere dell’Annona.
Una mattina, contai le pagnotte e mi accorsi che
ne mancavano tre, ero disperata, perché si dovevano tenere
i conti precisi: tanti bollini, tanto pane, e all’Annona
dovevi portare i conti giusti. Scoprii poco dopo
che a rubare i pani era stato il figlio della famiglia che
abitava sopra il forno. Lo chiusi insieme a me nella bottega,
e lui si mise a gridare prima negando e poi per la
vergogna. Aveva sollevato i mattoni del pavimento, del
piano superiore, e poi si era calato nella bottega. Chiamai
la madre, ma non lo denunciai… mi fecero molta
pena… quando mio marito tornò, come ringraziamento
a Dio che tra tanti morti aveva risparmiato la nostra
famiglia, bruciai nel forno del pane un intero sacco di
cambiali, “pagherò” che mi avevano dato i miei poveri
clienti… e nessuno mi dovette più una lira.
La paura era tanta, sia dei tedeschi che dei fascisti, anche
se io non ho vissuto violenze… si parlava molto però
di quello che i fascisti facevano ai disertori o agli antifascisti:
botte, torture e olio di ricino. Mi ricordo di
un vecchietto di Cecchina, che stava seduto all’osteria
a giocare a carte. Discutevamo di partiti e lui parlò male
del fascismo. Dopo un po’ lo vennero a prendere e
seppi che gli avevano dato la purga… poverino23! Chiedevano
sempre anche di mio marito e di mio figlio, per
sapere da che parte stavano... Una guerra maledetta...
Ricordo bene l’8 settembre, il giorno dell’Armistizio: noi
eravamo affittuari del Marchese Ferraioli, abitavamo in
una grande tenuta, con il casale e molti ettari di terreno.
Quel giorno la gente gridava: “È finita la guerra... è
finita...”, ma il giorno dopo, il 9, sono arrivati i tedeschi.
Il Comandante dei nostri soldati ci disse: “Scappate...
scappate, chi si può salvare si salvi”. Io ho salvato tre dei
nostri giovani soldati: ho preso dei vestiti di mio marito,
ho fatto togliere loro la divisa e indossare quegli abiti borghesi,
poi ho bruciato le divise nel forno del pane.
Uno di questi soldati, era di Brescia, dopo 40 anni venne
ad Albano, per cercare la donna che gli aveva salvato
la vita. Andò a parlare casualmente con mio figlio, Salvatore,
che aveva la bottega dove ora c’è il negozio di porchetta...
quando gli venne chiesto se conosceva una donna
che aveva salvato la vita a molti soldati durante l’ultima
guerra, che aveva al tempo un’osteria, allora mio figlio
gli rispose: “Certo, quella Anna è mia madre”. Si abbracciarono
scoppiando in lacrime.
I tedeschi erano inferociti: per la rabbia avevano spaccato,
con il calcio del mitra, le lastre di peperino del selciato
davanti al casale, e poi rubato viveri, distrutto e
bruciato case... ad Albano avevano sparato ancora contro
i civili. A Cecchina però non ci furono morti, dopo
l’8 settembre. Il nostro Comandante aveva messo la bandiera
bianca sul tetto del casale e tutti i soldati e lui stesso
camminavano con le mani alzate in segno di resa.
Avevano una rabbia incontenibile, hanno fatto un macello!
Pensavo: “Dove sarà mio marito, del quale non avevo
più notizie... e poi quelle scene di devastazione e morte...
possano morire tutti dicevo, loro e la loro maledetta
guerra!”
Quando iniziarono i bombardamenti attorno ad Albano,
le cannonate raggiungevano anche Cecchina… mi
ricordo che una mia “Commare” , stava cuocendo la cicoria,
fu raggiunta da una cannonata... rimasero a terra
15 morti e tutti i buoi e le bestie...
Andammo a Propaganda Fide il giorno 9 febbraio
del ’44.
Ci dissero che lì saremmo stati tranquilli che nessuno
ci avrebbe bombardato… e invece, il giorno dopo è accaduto
l’inferno! Le bombe, le vedevi proprio scendere,
a tappeto, tante erano... quanti morti e feriti... ma
io mi sono salvata.
Lo ricordo ancora benissimo... una bomba cadde a due
metri da me... solo io mi salvai, ed un giovane di 15 anni,
Franco che era stato colpito da una scheggia alla
gamba.
Lo portarono d’urgenza a Roma al Gemelli, aveva perso
tantissimo sangue… gli amputarono la gamba e poco
dopo morì.
Ero l’unica sopravvissuta. Un’intera famiglia di amici,
i Velluto, l’avevo vista morire vicino a me.
Conservo ancora una fotografia, dove ci siamo tutti: io,
Franco, il ragazzo morto a Roma, mia figlia Colomba
e quegli amici morti nel bombardamento, la mamma
Raffaella, che stava proprio vicino a me, con la testa
mozzata, i figli Italia, Edda, Alfonso e Tiberio Velluto,
gli unici superstiti, che decidemmo poi di adottare. Anche
io avevo una frattura alla mano, che mi ingessarono
al Gemelli.
Non avevo più notizie né di mio marito, né dei miei figli.
“Saranno morti” pensavo, ma dentro di me rimaneva
ancora la speranza di riabbracciarli.
Mi trasferii da mio fratello che abitava a Roma sull’Ostiense,
e ricordo che una mattina ho sentito una voce
che mi diceva: “Dovete andarvene subito, questa
mattina poiché ci sarà un bombardamento... andate a
San Pietro”.
Quando lo dissi a mio fratello e ai miei nipoti, pensarono
che fossi impazzita, e non mi diedero ascolto.
Io ascoltai quella voce e mi incamminai verso San Pietro...
alle otto e tre quarti ci fu il terribile bombardamento
su Roma, che fece 1.500 morti24!
“Dio non voleva che morissi” mi sono detta “Ben tre
volte mi ha salvata”.
Dopo la guerra ho cominciato a scrivere, ogni cosa che
mi ritornava alla mente, ed anche poesie, ne ho scritte
oltre cento. Tra queste ce n’è una che parla proprio di
quei giorni.
Alcune strofe dicono: “Pianta mia bella/ crescevi col
mio amore / ma un giorno l’invasore ti seccò (...) Sangue
innocente grida/ amatevi fratelli / ma il mondo è
sempre quello/ di oppressi e poverelli”. Invece per la
mia famiglia sopravvissuta a quel bombardamento ho
scritto questa poesia, con il linguaggio dei fiori: “Nella
vita ci sono tante cose belle/ una mamma ha tre stelle/
due maschi e una femmina/ due garofani e una pansé
/ il papà nontiscordardimé/ La mamma è una rosa
rossa piena d’amore / e prega il Signore per i suoi tre
tesori”.