testimonianze

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FRATEL GIUSEPPE BURLA
Ha del miracoloso la sopravvivenza di tutti noi
ragazzi del piccolo noviziato dei Fratelli delle Scuole Cristiane
di Albano (un centinaio eravamo) al bombardamento
avvenuto il primo febbraio 1944. Era una giornata rigida,
con una tramontana gelida, però con un sole splendido.
Le grotte sotto la casa ospitavano non soltanto noi, ma
molta altra gente. I confratelli, ricordo, si erano dati molto
da fare per ospitare tutta quella gente che chiedeva aiuto, fino
a quando c’era stato posto. Venivano da Albano, ma anche
dagli altri paesi, dall’Appia, con le loro masserizie. Dalla
terrazza alcuni dei confratelli, nei giorni precedenti, con
tanto di cannocchiale o di altri strumenti più o meno validi,
avevano tentato di osservare il fronte, ma i botti dei cannoneggiamenti
si sentivano distintamente. Quel primo febbraio,
tuttavia, era uno di quei giorni in cui tutto sembrava
tranquillo. Il sole splendeva e noi avevamo trascorso la
prima ora del dopo pranzo di studio regolare; si finiva la lezione
alle due e tre quarti, poi c’era la ricreazione fino alle
tre e dieci, quando incominciava la seconda lezione del pomeriggio.
Nelle giornate precedenti, quando il tempo era
bello, il direttore ci faceva uscire per la ricreazione: si salivano
i numerosi gradini di tufo e si andava nel cortile a vedere
un pochettino di sole, a respirare un pò d’aria e a fare dieci
minuti di giuochi e di corse.
Così anche quel giorno tutti aspettavamo di
uscire, perché per noi ragazzi quei dieci minuti di aria erano
proprio necessari. Invece il direttore del piccolo noviziato,
don Valerio Arcangeli; un giovane sacerdote con
una personalità molto forte, molto decisa, capace di far
presa su di noi, che avevamo bisogno tante volte di libertà,
anche con comandi che accettavamo come piccoli
religiosi, ma dei quali non vedevamo la ragione, venne a
dirci: “Oggi non si esce, la ricreazione si fa in grotta”.
Noi ci guardammo un pochettino così, ma dopo
un primo attimo di delusione, incominciammo a distrarci
come potevamo. E siccome il direttore spesso si confrontava
con quelli di noi che erano un pò più abili nel gioco degli
scacchi (e generalmente perdeva...) anche quel giorno
iniziammo la solita partita.
Quella decisione si rivelò subito provvidenziale, perché dieci
minuti dopo l’inizio di quella ricreazione avvenne il bombardamento:
le grotte buie furono piene di un rumore spaventoso,
di boati tremendi come di un terremoto, per le
bombe di grosso calibro che esplodevano e per i muri che
crollavano; e noi pensammo veramente che le grotte stessero
per seppellirci, tanto forti furono i boati e il rimbombo
attraverso i cunicoli e le scale di accesso. Le lavagne
appoggiate ai muri delle grotte caddero e istintivamente
ognuno fece il gesto di ripararsi dal crollo delle volte. Esse,
per fortuna, erano così forti e così profonde che sopportarono
l’urto delle bombe di grosso calibro.
Subito dopo cominciò il parapiglia della gente che
si ammassava nel ricovero, tra cui i nostri scolastici e i
nostri novizi, che si erano salvati per miracolo anche loro. I
novizi si trovavano al momento del bombardamento nella
cappella per la recita dei vespri; era il primo febbraio, quindi
i vespri della Presentazione, festa solenne secondo le tradizioni.
Nella lunga cappella ornata di calchi ed affreschi di
grandi pittori, occupavano i primi tre o quattro banchi più
prossimi all'altare, che furono risparmiati, mentre gli altri
erano stati sepolti dal crollo; attraverso passaggi che non erano
soliti fare, attraverso il reparto dello scolasticato, trovarono
il modo di raggiungere anche loro le grotte; ma ricordo
che quando arrivarono erano tutti bianchi come
mugnai per la polvere dei calcinacci