testimonianze

LUCIANO MARIANI
Gestore dell’Albergo Pagnanelli di Castel Gandolfo
“Ognuno scavava con le mani, in quell’inferno di macerie”
Avevo appena 2 mesi, quel 10 febbraio del 1944, ma la
memoria dell’accaduto è dentro di me, per gli innumerevoli
racconti dei miei genitori.
Nel nostro Albergo, a Castel Gandolfo, si era insediato
il comando tedesco e molti fatti li abbiamo vissuti
proprio a stretto contatto.
L’allora Pontefice Pio XII, diede l’autorizzazione ad
aprire la Villa Pontificia, per accogliere centinaia di persone
che dopo i bombardamenti precedenti quel 10 febbraio
del 1944, si erano riversate per le strade di Albano,
cercando di aiutare i feriti e di recuperare i morti.
Dentro il vastissimo territorio della Villa Pontificia di
Castel Gandolfo furono approntati l’ospedale da campo,
numerose tendopoli per gli sfollati, cucine da campo,
mentre la vita, nonostante il tempo di guerra, cercava
di riprendere i suoi ritmi; alcuni agricoltori, ad
esempio, avevano portato con sé addirittura le vacche,
così il latte per anziani e bambini era assicurato. Dopo
lo sfollamento da Albano, iniziato il 28 gennaio, gli sfollati
ricoverati dentro la Villa Pontificia, si sentivano al
sicuro, poiché ritenevano che essendo territorio del Vaticano,
nessun bombardamento li avrebbe colpiti. Ma
così non fu.
La gente si arrangiava come poteva e, nonostante tutto,
la vita aveva ripreso il suo corso: si cucinava, ci si lavava
in aree adibite a questo, si faceva il bucato, c’era
persino il barbiere.
Dalla parte di Castel Gandolfo gli sfollati, che occupavano
il Palazzo Pontificio, stavano sicuramente meglio
di quelli ricoverati nei giardini della Villa. Sullo scalone
del Palazzo del Papa, c’erano ovunque materassi e
giacigli approntati alla bene meglio, tantissima gente,
soprattutto vecchi e bambini, con le loro madri.
Alcuni bimbi nacquero durante lo sfollamento, come i
gemelli Zelini, Pio Eugenio e Eugenio Pio, nomi scelti
dai genitori in onore a Papa Pacelli.
Tantissimi si prodigarono per aiutare, soprattutto il Direttore
della Villa Pontifica, il Dottor Bonomelli1 ed i
suoi fedeli collaboratori, Tortello Santini e Arturo Bonanni.
Giornalmente si organizzavano camion che partivano
dalla Villa, carichi di persone da condurre verso l’Umbria,
Assisi, Foligno, mentre al ritorno gli stessi camion
vuoti, che viaggiavano con le bandiere del Vaticano ben
in vista, riportavano carichi di viveri per gli sfollati di
Albano.
Quella mattina - raccontava mia madre - c’era una gelida
tramontana, ma anche il clima che gravava su Albano
era particolarmente cupo, come se un presentimento
lasciasse intuire che da lì a poco qualcosa di terribile
sarebbe accaduto.
Cominciarono a vedersi nel cielo formazioni di bombardieri
americani, che si dirigevano verso il mare, verso
Anzio e Pratica di Mare, Nettuno. Al secondo passaggio
i bombardieri virarono verso il Lago di Castello
ed Albano, con grande sconcerto della gente.
Iniziò così il drammatico bombardamento del 10 febbraio
19442. Albano era già distrutta dai precedenti attacchi,
così molti palazzi erano già rovine3: Villa Doria,
presa di mira dai bombardieri americani poiché sede
della Divisione Piacenza4, il Convento dei Carissimi5.
Nel bombardamento di Propaganda Fide, quello che colpì
i Castelli Romani quel fatidico 10 febbraio, i morti furono
tantissimi e tantissimi i dispersi ed i feriti.
Ma i terribili ricordi di quel bombardamento del 10 febbraio
erano sempre presenti nella memoria dei miei genitori.
Mi raccontavano che dopo il bombardamento
l’aria era acre e gonfia di un oscuro polverone, che aveva
coperto tutto e tutti. Le scene di devastazione furono
a dir poco raccapriccianti: ovunque morti, brandelli
di membra umane sparse sul terreno, addirittura - ricordava
mia madre - un reggiseno insanguinato che
pendeva lugubre - dai rami di un’albero. Dentro il reggiseno,
un rotolino di soldi, nascosto evidentemente
nella fretta della fuga. E poi va ricordato per il grande
aiuto offerto dopo il terribile bombardamento di Propaganda
Fide, il nostro Arciprete, Don Dino Sella, che
aiutò instancabilmente, feriti, orfani e soprattutto per
il pietoso riconoscimento delle salme, e la loro sepoltura.
E poi il Parroco di Albano, molte suore e tantissimi
religiosi, medici e civili, chiunque aiutava, scavando con
le mani in quell’inferno di macerie, portando soccorso.
Una sciagura immane che vide oltre 600 morti e tanti
tantissimi feriti e dispersi.
Gli ospedali di Albano e Marino erano stracolmi di
feriti, molti venivano portati a Roma al San Giovanni...
Difficile dimenticare quella tragedia, anche se io la ricordo
attraverso frammenti di memoria familiare.