testimonianze

ANTONIO ASCENZI
Dopo l’8 settembre, il dilemma di noi ufficiali
era questo: che cosa si deve fare adesso? Noi eravamo
legati da un giuramento al re; ma il re dov’era? Sapemmo
verso l’11 o il 12 che era scappato e si trovava a Bari:
questo è il motivo per il quale io non ho più voluto
sapere nulla. Avere lasciato un esercito in una situazione
di questo genere è una delle cose più sporche che
questa gente potesse fare nei nostri riguardi.
Allora abbiamo capito che la situazione era ancora
più drammatica di quanto potevamo pensare e
che dovevamo assolutamente evitare di metterci in
divisa. Allora io ero assistente incaricato all’Università
e così cominciai ad andare a Roma come se non
avessi nulla a che fare con il servizio militare; facevo
il mio lavoro e poi tornavo ad Albano. Senonché cominciarono
dei grossi rischi perché, quando si stava
verso Ciampino, ogni tanto i tedeschi fermavano il
tram e prendevano gli uomini giovani che vi si trovavano
e li portavano nell’aeroporto a riempire le buche
dei bombardamenti, con grave pericolo, perché
ogni tanto i bombardamenti si ripetevano. I tedeschi
sceglievano con malizia le persone da prendere: se vedevano
che uno aveva paura, prendevano proprio lui
se uno invece faceva l'indifferente la faceva franca. Io
leggevo tranquillamente e non mi hanno mai preso,
ma mi dovetti porre il problema se continuare o meno
ad andare a Roma, perché da un momento all’altro
potevo essere preso pure io.
Ma poi un altro motivo fu questo: io fui avvicinato
da un mio ex superiore, che si era dato alla
macchia; era di Albano ed era il fratello di... Fortuna,
persona molto nota nel paese. Era generale di brigata
aerea o di divisione aerea, non ricordo bene, ed
io ero stato con lui per breve tempo appena tornato
dall’Africa. Questa persona mi disse: “Devi assolutamente
darti alla macchia. Guarda che se ti pescano ti
deportano in Germania, perciò trova la maniera di
toglierti di mezzo.” Poi c’era Augusto Tanni, medaglia
d’oro dei bersaglieri, fascista, il quale, ogni volta
che mi incontrava mi diceva: “Ma quando ti ripresenti?
Tu sei un ufficiale, hai fatto l’Africa: ti devi ripresentare...”.
Il problema era dunque di nascondersi, di sparire
dalla circolazione. Mi rivolsi allora a don Monaldo,
che era il cappellano dei "Carissimi", lui parlò
con i religiosi e quelli accettarono di ospitarmi.