testimonianze

EUGENIO PIERSANTI di Albano
“Mio padre era un antifascista, prese pure le botte...”
Sono nato ad Albano nel 1925 e all’epoca del bombardamento
di Propaganda Fide avevo 18 anni.
Avevo deciso, per comodo lo ammetto, di aderire al fascismo…
per vivere meglio, avere un paio di scarpe e
di pantaloni…Ricordo che il 25 luglio, quando cadde
il fascismo, mi trovavo alla stazione del tram, ad Albano,
per andare a Roma dove lavoravo. Indossavo ancora
l’uniforme dei giovani balilla, con la “cimicetta” al
bavero della giacca. Incontrai mio padre che mi fermò
arrabbiatissimo.
“Che sei scemo” - mi disse indicando la cimicetta - “levati
‘sta cosa di dosso, ma non lo sai che il fascismo è
finito?”. Mio padre era un convinto antifascista, ed aveva
preso pure le botte per questo. Quando indossavo
l’uniforme si arrabbiava molto e mi diceva: “Se non ti
levi questi stracci di dosso, ti do fuoco insieme a tutta
la divisa”.
Rammento benissimo quando iniziò la guerra in Spagna,
avevo 10 anni ed abitavo vicino alla Casa del Fascio.
Ma la seconda guerra... quella fu terribile... ci mancava
tutto, avevamo fame e c’era una grande miseria.
Quando bombardarono per la prima volta Roma, io ero
a Piazza Vittorio, ed una bomba mi cadde vicinissima.
Mentre tornavo ad Albano, con il tram, ci fecero scendere
a Capannelle, per proseguire a piedi verso Ciampino...
quando arrivammo all’aeroporto... non dimenticherò
mai quelle immagini... era tutto distrutto e la
gente scappava attraverso i prati che ancora ci sono, lungo
l’Appia. Fu allora che mitragliarono il tram, a Ciampino...
vi morirono molte persone, tra i quali i Palermo...
ma noi siamo riusciti a scappare ed arrivammo ad
Albano a piedi28.
Si diceva che in quel bombardamento erano scappati
anche i soldati e che il Re Vittorio Emanuele, venuto a
Ciampino per un sopralluogo dopo il bombardamento,
non ne trovò uno29.
Durante il secondo bombardamento di Roma, quello
del 13 agosto, mio fratello, che faceva il meccanico, si
era recato a Roma, in Via Assisi, dove c’era lo stabilimento
Pirelli, per prendere dei copertoni. Bombardarono
la fabbrica, radendola al suolo e tantissima gente
che si era rifugiata all’interno morì, insieme a loro mio
fratello. La nostra era una famiglia numerosa, di 9 figli.
Mio padre sentendo quei racconti di morte e devastazione
ci disse: “Vestitevi più che potete, dobbiamo andare
via da qui, lasciare la casa” e fu così che, vestiti con
due pantaloni e due o tre giacche, sfollammo alla Villa
Pontificia. Trovammo ricovero nel grottone sotto la
Villa, e vi rimanemmo 10 giorni, dormendo ranicchiati
sulle scale. Mi ricordo che un giorno un cugino mi
propose - dati i morsi della fame che accompagnavano
le nostre giornate - di andare a rubare galline nell’orto
accanto a San Paolo, a Roma. L’impresa, pur se difficoltosa,
riuscì e tornammo a casa con due polli, che ci
sfamarono per tre giorni. Poi mio padre trovò un posto
più sicuro e riparato a Roma, da una zia che aveva
una frutteria. Dormivamo nel retrobottega e ricordo
benissimo quella paura... per la prima volta avvertivo
una terribile paura... quando, a saracinesca abbassata,
sentivamo la marcia sinistra dei tedeschi, vicinissima a
noi e rimbombante nel silenzio della notte. Quella marcia
dei tedeschi è impressa a fuoco nel mio cervello.
Eravamo giovani e non capivamo che cos’era il fascismo,
anche perché a scuola gli insegnanti ci costringevano
ad esserlo... giovani fascisti... ma mio padre rimase
antifascista e ricordo che ogni tanto cantava “Bandiera
rossa”. Ma purtroppo, come antifascista, non aveva
diritto a nulla e la tessera per i generi alimentari la
doveva pagare.
Comunque, quando sbarcarono gli americani, pensammo
che sarebbero venuti a liberarci e invece fecero troppi
danni e morti... “Che liberatori sono?” ci domandavamo...
per liberarci radevano al suolo interi paesi... e
così in territorio neutrale, come il Vaticano di Propaganda
Fide.
“Ci stanno ammazzando tutti” diceva la gente... ed era
vero, perché per annientare un solo cannone che stava
alla Galleria di sopra30, avevano distrutto la Villa e fatto
centinaia di morti, feriti e dispersi. A proposito dei
partigiani posso raccontare un’esperienza che mi impaurì
molto.
Sopra di noi abitava un partigiano, che una mattina
bussò alla porta di casa nostra, portando un sacco di iuta
sulle spalle. “Devi nasconderlo... ti prego” e se ne andò
di corsa. Io lo nascosi, ma solo più tardi decisi di
guardare cosa c’era dentro quel sacco... c’erano armi...
e pensare che anche i tedeschi erano venuti a casa nostra
per un controllo... ma per fortuna non trovarono
quel sacco!.