testimonianze

MARCELLO BELARDI Pittore, di Castel Gandolfo
“La storia del quadro raffigurante la Via Crucis, nella piazza di Propaganda Fide”
Avevo 12 anni quando ci fu il bombardamento di Propaganda
Fide. Sono nato a Castel Gandolfo, ma dal
1962 la mia famiglia si trasferì ad Albano.
Siamo stati ospitati, come tanti sfollati, nella Villa Pontificia
Di quella mattina del 10 febbraio 1944, ricordo prima
l’urlo della sirena, poi il lugubre arrivo dei bombardieri
americani… e poi accadde l’inferno in poco tempo.
In brevissimo tempo l’atmosfera si riempì di una nebbia
scura e di un acre odore di polvere da sparo. Ricordo
di aver vissuto l’esperienza del bombardamento con
una strana sensazione di “straneamento”, come se davanti
a me si stesse svolgendo un drammatico film di
guerra del quale però non ero protagonista o partecipe.
Durò poco, il bombardamento, forse un quarto d’ora,
ma il dopo fu veramente terribile.
Rammento di aver seguito quel fiume di gente impazzita,
che andava e veniva, tra macerie e devastazioni,
correndo, disperata, tra grida e lamenti.
Arrivato davanti al piazzale della Chiesa del Convento
di Propaganda Fide, dove tuttora ci sono le edicole della
Via Crucis, vidi un enorme cumulo di macerie, là,
dove prima c’erano il Palazzo Vaticano e la Chiesa. Tra
queste macerie vagavano uomini e donne disperati, scavando
tra i cumuli di calcinacci, scavavano con le mani
nella speranza di raggiungere i lamenti dei feriti che
ancora si trovavano prigionieri sotto le macerie, o per
riportare alla luce le salme. Queste venivano deposte
poi, tutte allineate sotto il grande leccio della piazza,
quello che noi chiamavamo “l’alberone”.
Quelle immagini segnarono per sempre la mia adolescenza,
ma allora non me ne potevo accorgere, poiché
rimasero per molto tempo rimosse, nel fondo del mio
inconscio.
Passò così il tempo della guerra, io diventai adulto, ma
capitava spesso, quando mi trovavo a passare per quel
piazzale davanti alla Chiesa di Propaganda Fide, di venire
assalito da un forte malessere, che mi provocava spasmi
e dolori intestinali. Non riuscivo però a capire il motivo
di tutto ciò, poiché, appena mi allontanavo, quel
malessere e quei dolori finivano.
Tutto ciò durò per quasi un anno, fin quando decisi di
rivolgermi ad un medico, il quale attribuì il malessere
ad una forte colite, togliendomi molti alimenti, tra i quali
anche il latte, che amavo tanto, ma il malessere non
passò. Si pensò poi ad un’infiammazione dell’appendice,
mi portarono per questo al Policlinico a Roma, ma
il primario che mi aveva visitato attentamente, capì da
subito che si trattava di un disturbo psicosomatico, causato
dal trauma della guerra e in particolare di quel bombardamento
del 10 febbraio. Mi rivolse moltissime domande
in merito, voleva che gli raccontassi cosa ricordavo
di quel terribile giorno. All’inizio ricordavo poco,
poi parlandone, i ricordi cominciarono a riaffiorare,
sempre più definiti. In quel modo avevo interrotto la rimozione
del ricordo ed elaborato il trauma subito. Il disturbo
passò ed il ricordo di quel giorno rimase da allora
ben chiaro nella mia coscienza, a tal punto che - io
sono pittore - nel 1980 ho deciso di immortalare in una
mia tela proprio quel piazzale e le Cappelle della Via
Crucis, davanti alla Chiesa di Propaganda Fide.
Faticai moltissimo a dipingere quel quadro, rivivendo
quei momenti drammatici, ed è un quadro dal quale
non mi separerò mai, poiché è un frammento di quel
trauma subito e della sua risoluzione.
La guerra è un male totale, poiché se non ti toglie la vita,
ti toglie la voglia di viverla.
Ma la guerra e la povertà - a mio avviso - hanno un lato
positivo: portano le persone a superare l’individualismo e
l’egoismo. In guerra e nella povertà ci si aiuta, si condivide
più facilmente quel poco che si ha, si superano i confini
familiari, l’aiuto e la fratellanza è per tutti, parenti e
sconosciuti; paradossalmente è il senso della vita e della
sopravvivenza che prende il sopravvento sulla morte.
In questo nostro terzo millennio, forse il male peggiore
è proprio l’indifferenza e l’egoismo, la mancanza di spiritualità
e di valori, le disuguaglianze sociali.
Ho perduto mia moglie quando era ancora giovane,
l’ho amata tantissimo e mi manca tantissimo.
La ritraggo spesso nei miei dipinti. A lei ho dedicato una
poesia, che a mio parere è un fondamento della vita:
“Sempre e comunque la vita va vissuta, intensamente ma
con filosofia. E l’amore è come l’acqua per la poesia”.